Per quanto sorprendente possa sembrare, tra il pensiero anarchico
e quello buddista ci sono analogie: infatti il buddismo è an-archico nella
misura in cui rifugge dall'affermazione filosofica di principi primi. Le
dottrine buddiste di
a-nitya (non-permanenza) ed
an-atman
(non-personalità) sono la negazione di due principi
(
αρχή) che la tradizione brahmanica considerava
fondanti.
E
poi il buddismo è ateo. Non nel senso che nega dio — perché la
negazione sarebbe comunque l'affermazione di un principio forte, sia pure in
forma negativa —, ma nel senso che ne prescinde. Tutto l'insegnamento del
Buddha concerne la vita dell'uomo e il suo dolore. Al problema esistenziale vien
data una risposta che è insieme psicologica e spirituale, ma che non
è, né in prima né in seconda istanza, religiosa o teologica; il
Buddha, infatti, non parlò mai di dio, tacendo deliberatamente su
quest'argomento.
Questo tratto an-archico del pensiero buddista
è tanto marcato che certi studiosi sono incerti se classificare il buddismo
come religione o come filosofia. Forse non tutti sanno che l'alfa privativa,
prima di essere un simbolo degli anarchici, è da millenni un simbolo
buddista — al pari della ruota e della foglia di pipal — ed è
detta «la saggezza suprema in una sola lettera».
Questa
indica, appunto, il prefisso da premettere a tutte le nozioni affermative che
vengono negate dalla suprema saggezza, in quanto sono solo parole, mere
emissioni di voce, che indicano enti privi di «realtà». Negando
l'essenzialità dell'apparenza, l'alfa privativa diviene così il
simbolo della vacuità. Se scritta in caratteri
devanagari, ossia la scrittura che prevale
nell'India del Nord, il profano può scambiare quest'alfa privativa con la
sacra sillaba
aum, in quanto anche la sua grafia richiama quella del
numero 3 (anche l'
aum comincia con
un'«
a»).
Come mai questo anarchismo filosofico
non ha mai prodotto un anarchismo politico? La risposta è
che il buddismo non è una dottrina sociale, ma una via ascetica alla
conoscenza. L'obiettivo del buddismo è la liberazione dal dolore
esistenziale. Gli ordini monastici buddisti non sono mai stati anarchici: il
Buddha, finché visse, ne fu il capo naturale (sebbene negasse di esserlo),
ma alla sua morte il primo concilio designò un successore e canonizzò
lil regolamento (
vinaya) cui il monaco deve attenersi.
Sebbene
la filosofia buddista sia sempre stata tanto ardita e controcorrente, l'ordine
dei monaci è sempre stato un modello di santità tradizionale,
caratterizzato da povertà, castità e nonviolenza; così allo
spinto relativismo filosofico fa da contrappeso un serio rigore etico. Ciò
deriva dal fatto che anche la religione vedica, nella quale il Buddha nacque e
crebbe e fu educato, non richiede tanto l'adesione a un credo religioso, quanto
l'osservanza di precetti sociali e rituali. Lo stesso Buddha, pur rigettando
l'autorità religiosa della casta sacerdotale, finché visse si
comportò in un modo che anche i bramini consideravano ineccepibile.
Inoltre, non bisogna dimenticare che lo Shakyamuni e i suoi discepoli non erano
buddisti. Anzi, il Buddha adempì fino in fondo ai dettami della tradizione
vedica facendo il voto di
sannyasa (rinuncia) solo dopo aver generato un
figlio maschio, prendendo la veste color zafferano, ordinando discepoli ecc. Il
buddismo come religione separata nacque solo dopo la morte del Buddha, quando i
discepoli, riuniti in concilio, decisero di dare continuità alla
comunità che s'era radunata intorno al Maestro.
In Occidente
l'anarchismo politico nacque anche come ribellione all'assolutismo religioso
della Chiesa su cui si fondava il dispotismo politico. E qui la morale è,
forse, che meno dogmi si vogliono conculcare, meno ribellismi si vanno a
fomentare.
Una vistosa differenza tra l'anarchismo filosofico e il
buddismo sta nel fatto che l'anarchismo si fonda su una visione un po' troppo
ottimista della natura umana; riecheggiando Rousseau e il mito del buon
selvaggio, i pensatori anarchici sono convinti che gli esseri umani sarebbero
buoni se non venissero corrotti dalla società; un'idea, questa che nessun
buddista sottoscriverebbe. L'idea di fondo, che sta dietro lo
yoga, il
samkhya e il buddhismo è che gli esseri umani non nascono affatto
liberi (come diceva Rousseau), ma già incatenati dalle tendenze karmiche
(
vasana) formatesi durante le innumerevoli precedenti esistenze; anzi,
proprio queste catene sarebbero la causa efficiente dell'attuale rinascita
perché, se fossimo liberi, non rinasceremmo mai più. Il tratto
ottimista del buddismo sta nella credenza che tutti gli esseri siano portatori
della potenzialità del risveglio (la cosiddetta
natura di buddha),
che si può manifestare una volta trasceso tutto il
condizionamento.
Inserito Lun - Dicembre
26, 2005, 12:20 p. in
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